sabato 31 marzo 2018

CONSIDERAZIONI SUL PRESENTE E SULL’AVVENIRE DELLA CONSULENZA FILOSOFICA INDIVIDUALE ALLA LUCE DELLA 14th ICCP 2016 DI BERNA

Una sera di novembre (2015) ricevetti un invito da parte di Stefano Zampieri[1] a partecipare ad un primo incontro on-line (di quattro) in cui Ran Lahav[2] avrebbe tenuto una Companionship[3] (cosa a me allora sconosciuta). Lahav era un autore che io avevo studiato molto negli ultimi anni e in modo particolare all’interno del mio percorso di formazione in Phronesis e anche per questo, quando accettai, mi sentii un po’ emozionato. Alla fine di quella serie di incontri Ran mi chiese di partecipare ad altri cicli di Companionship e, successivamente, mi invitò a collaborare con lui per condividere questa pratica con altre persone, oltre a propormi di ricercare e sperimentare assieme a lui altri nuovi modi per “fare filosofia”. E fu sempre Ran a propormi (maggio 2016) di tenere una Companionship alla 14th International Conference on Philosophical Practice (ICPP 2016) che si sarebbe tenuta a Berna dal 4 all’8 agosto. All’inizio ero piuttosto perplesso e restio all’idea di tenere una Companionship, pratica di cui ero poco più di un neofita appassionato, in una lingua (l’inglese) che non padroneggio ovviamente al pari della mia lingua madre, senza considerare l’elevato costo che la mia partecipazione avrebbe richiesto. Nonostante queste prime forti titubanze, però, decisi comunque di andare a vivere questa nuova esperienza, spinto dalla voglia di mettermi in gioco, oltre che dal desiderio di incontrarmi e confrontarmi con altri filosofi pratici provenienti da un po’ tutte le parti del mondo, anche con l’obiettivo di comprendere meglio quale fosse la situazione reale delle pratiche filosofiche al di fuori del contesto italiano. Il titolo del convegno era Understanding the other and oneself e si aprì con la presentazione di Detlef Staude, filosofo pratico di Berna dal 1997 oltre che principale organizzatore della stessa Conference. In estrema sintesi il suo intervento (che ahimè fu pronunciato in lingua tedesca) sosteneva la rilevanza del corpo in vista di una profonda comprensione di sé e dell’altro, e sottolineava l’importanza della filosofia come strumento che, proprio attraverso tale comprensione di noi stessi, dell’altro e delle situazioni nelle quali siamo di volta in volta immersi, può insegnarci a vivere meglio. Il dibattito che seguì questo intervento introduttivo fu molto acceso e si concentrò soprattutto sul tema del rapporto pensiero-corpo e sulle modalità attraverso cui il corpo potrebbe giocare un ruolo rilevante all’interno di un dialogo o, in generale, di una pratica filosofica. Devo dire che, tra i vari interventi, mi sono trovato d’accordo soprattutto con le pungenti considerazioni di Brenifier[4], il quale denunciava un’eccessiva astrattezza del discorso di Staude. Dal canto suo Brenifier, a partire dalla sua diretta esperienza, aveva condiviso degli esempi concreti di esercizi fisici che gli è capitato più volte di proporre all’interno di una consulenza (respirazione, allungamento, passeggiata) col fine di gestire particolari stati emotivi che ostacolavano il “naturale svolgimento” della consulenza. Il filosofo francese concluse il suo intervento dicendosi convinto che prendere in considerazione il corpo possa avere un senso ed essere effettivamente utile esclusivamente se lo si fa al fine di favorire il processo del pensiero e, dunque, del dialogo. I laboratori filosofici iniziarono soltanto dal giorno successivo e io cercai di partecipare il più possibile anche se, purtroppo, non ho potuto evitare di perderne qualcuno, visto che, per una esigenza organizzativa generale, molte attività si sovrapponevano. In ogni caso partecipai alla conferenza di Eckart Ruschmann[5], secondo cui la comprensione profonda dell’altro può avvenire soltanto tenendo presente la reciproca interdipendenza di teoria (concetti, convinzioni ecc.) e di pratica (esperienze personali concrete). Concentrandosi su questa forte connessione, secondo il filosofo pratico austriaco, sarebbe possibile interpretare correttamente i desideri, i bisogni, le emozioni, la percezione, i pensieri e i valori che giacciono nelle parole e nei comportamenti del consultante. Nel complesso giudicai la conferenza molto gradevole, ma, nel contempo, piuttosto astratta. Dopo aver assistito ad una Companionship, tenuta in quella stessa tarda mattinata da Ran Lahav e da Mike Roth[6], presi parte al workshop tenuto da Viktoria Chernenko (How to quest oneself), giovane consulente filosofica, allieva di Brenifier, che presentava il modo attraverso cui risulterebbe possibile rivolgere direttamente a se stessi una consulenza filosofica. Trovai l’incontro molto interessante anche se, a dire la verità, ero già venuto a conoscenza di questo metodo qualche mese prima, durante un workshop tenuto dallo stesso Brenifier a Bergamo. Personalmente trovo allettante l’idea di potersi interrogare, di poter trovare da sé i presupposti dei propri pensieri e delle proprie azioni per poi metterli in discussione, anche se sono convinto che il “dialogo” tra sé e sé sia viziato dalla mancanza di un’autentica prospettiva esterna, dalla quale ritengo risulti più facile osservare, smascherare ed operare sui “punti deboli” del proprio pensiero. Nel tardo pomeriggio di quello stesso giorno riuscii a partecipare anche ad un altro workshop, questa volta condotto da Jorge Humberto Dias e Tiago Pita, due consulenti filosofici portoghesi che hanno presentato il loro progetto di ricerca Happylab (avviato nell’ottobre 2015 e che consta di 33 ricercatori sparsi tra Spagna, USA, Italia, Norvegia, Romania, Canada, Croazia, Sud Corea, Israele, Brasile, Russia e Grecia) volto a valutare quanto la consulenza filosofica sia in grado di condurre il consultante alla felicità attraverso il metodo che si basa sulla seguente formula (detta appunto la formula della felicità): F=P+C (Felicità = Progetto + Concretizzazione). Trovai le idee che emergevano da questo workshop piuttosto ingenue, per non dire ridicole: è davvero possibile ridurre la consulenza filosofica a un metodo basato sulla formula della felicità? E anche nel caso in cui fosse possibile: è questo il compito del consulente filosofico, ovvero rendere felici i propri consultanti? Trovai piuttosto ridicola, oltre che superficiale, anche la conferenza della sera che verteva sul tema della sessualità (Sexuality and philosophical practice) tenuta da Lydia Amir[7], da Anders Lindseth[8], da Willi Fillinger[9], da Gerald Rochelle[10] e da Vander Lemes[11]. La domanda che ha fatto da sfondo alla conferenza era: “Perché i filosofi non parlano mai di sessualità?”. Secondo gli stessi relatori la sessualità, invece di essere una sfida per la filosofia, rappresenta una sorta di tabù filosofico perché tra gli stessi filosofi c’è paura di denudarsi, di mettersi in gioco, di aprirsi agli altri e nonostante questo tema possa sembrare ultra gettonato all’interno dell’opinione pubblica, secondo loro, in realtà, non lo si riesce mai ad affrontare seriamente. Purtroppo devo ammettere che la loro convinzione è stata confermata dai loro stessi successivi interventi: a parte le interessanti premesse qui sopra rievocate quello che è emerso è stato, a mio avviso, poco più di un grande vuoto di concetti, di una rara povertà di argomentazioni e di una imbarazzante incapacità di analizzare la questione da una certa profondità. Il dibattito, insomma, si rivelò tanto triste quanto grottesco: buoni propositi e sincera passione che non sono riusciti a sfociare e a tradursi in alcunché di proficuo. Il giorno successivo, dopo aver tenuto la companionship utilizzando un testo che mi piaceva molto, estrapolato da un’opera di Martin Buber (I and Thou), partecipai al workshop di Carmen Zavala (consulente filosofica in Messico) che illustrò le modalità attraverso cui gestisce i suoi incontri di Caffè Philo. Carmen ci ha raccontato, per esempio, che la tematica viene decisa democraticamente alla fine di ogni incontro per la volta successiva, che ogni persona interviene a turno per un tempo massimo di tre minuti e che i concetti relativi ai vari interventi dei partecipanti vengono riassunti su una lavagna. Prima della fine del convegno riuscii ad assistere ad altri tre workshops: quello di Will Heutz[12] e Joep De Jong[13] (secondo cui il consulente filosofico permette al consultante di trovare la via in direzione del proprio profondo attraverso l’ascolto, la comprensione e attraverso un dialogo non contaminato da opinioni, teorie o tecniche), quello di Riella Morhayim[14] (secondo cui il senso complessivo di ciò che fa il consulente filosofico, invece, sta nel riuscire a condurre i propri consultanti, attraverso delle opportune ed efficaci domande, ad una comprensione della propria personalità, delle proprie credenze e dei propri valori) e, infine, quello di Kristof Von Rossem[15] (che ha illustrato, attraverso un’efficace simulazione, un suo Dialogo Socratico tipo). Volendo fare, allora, un bilancio complessivo di questa esperienza, direi che è stato molto stimolante e soprattutto istruttivo vedere quello che alcuni tra i più attivi consulenti filosofici di livello internazionale fanno in giro per il mondo. Mi ha fatto un certo effetto, però, constatare il fatto che nessuno dei consulenti filosofici presenti al convegno si concentri, per professione, esclusivamente sulle consulenze individuali. Anzi, da quello che ho potuto riscontrare, sono davvero in pochi quelli che, fra le altre loro attività, praticano anche la consulenza filosofica individuale: workshops, dialoghi socratici e Caffè Philo, insomma, hanno sicuramente più successo, nel senso che sono maggiormente richiesti dal “mercato” stesso e i consulenti filosofici sembrano adattarsi a tale richieste senza alcun tipo di problema. La cosa non poteva non stupirmi visto che faccio parte di un’associazione che ha posto al centro del proprio interesse e della propria ricerca appunto la consulenza filosofica individuale, attività che, come abbiamo visto, sembra invece essere passata in secondo piano nello spazio riservato alle pratiche filosofiche a livello internazionale. Questo dato, a mio avviso, non può non essere preso in considerazione e credo che debba essere oggetto di una seria riflessione, soprattutto da parte di noi di Phronesis che, come è noto a tutti, attualmente stiamo attraversando un momento molto delicato, perché internamente divisi in modo particolare proprio su questo tipo di questione. È vero: sappiamo che c’è un gruppo di ricerca che, a partire dal 2 ottobre 2016[16], si sta occupando proprio del tema della professione e che mi auguro includerà anche questo dato all’interno della propria indagine. Al di là del lavoro che sta svolgendo questo gruppo di ricerca, però, credo che ogni consulente filosofico abbia il dovere di interrogarsi singolarmente sul senso di questa significativa tendenza internazionale che, a ben vedere, si potrebbe riscontrare benissimo anche all’interno della situazione generale italiana (basti pensare, per esempio, a quanti consulenti filosofici di Phronesis lavorano facendo consulenze individuali). La maggior parte dei cosiddetti consulenti filosofici, insomma, non fa consulenza filosofica, né in Italia né nel mondo. Ovviamente si può discutere su questa constatazione, che può essere interpretata in modi diversi e che si può spiegare ricorrendo a differenti ordini di cause. Ma per dirla in tutta franchezza, io non lo so se la nostra pratica potrà mai diventare un lavoro, perlomeno nell’accezione comune che questo termine porta con sé. Io so soltanto che per ora, dopo più di trent’anni dalla sua nascita, nessuno, di fatto, è riuscito ancora a trasformare questa bellissima (e secondo me anche promettente) pratica in una professione a tutti gli effetti. Ritengo, inoltre, che il bilancio personale e complessivo, a cui ogni consulente filosofico serio non si può più sottrarre, debba partire dalla messa in discussione di quello che finora era stato il presupposto (tutt’oggi irrealizzato e non dimostrato) di una consulenza filosofica intesa come professione (nonostante ciò sia sostenuto da illustri consulenti come Pollastri[17], nonché perfino dallo stesso fondatore di questa pratica, Achenbach[18]). Porre un punto di domanda su quello che finora ha rappresentato il nostro punto di partenza (e che nel contempo voleva essere il nostro punto di arrivo), però, non significa necessariamente dover mettere in discussione il valore complessivo di questa preziosa pratica che, a mio avviso, potrebbe tranquillamente conservare intatta la propria autenticità anche realizzandosi attraverso modalità alternative ed estranee alle logiche di mercato che caratterizzano la società capitalista di cui facciamo parte. Anzi, direi che l’esperienza di Berna mi ha confermato esattamente il contrario: è proprio nel tentativo di seguire le logiche di mercato che si finisce con l’occuparsi sempre meno di consulenza filosofica individuale. A tal proposito vorrei rilanciare una domanda presa in prestito da una riflessione pubblicata da Zampieri all’interno del suo blog[19], di cui condivido l’urgenza e su cui, ciascuno di noi, consulenti filosofici Phronesis o aspiranti tali, dovrebbe cominciare ad interrogarsi: «E' vero che il "consulente filosofico" ha interpretato se stesso come un libero professionista e come un fornitore di servizi (d'aiuto o di riflessione), ma è davvero questo il nucleo della sua identità?». Per concludere, in ultimissima battuta, vorrei affiancare a questa opportuna domanda di Zampieri, la seguente provocazione che mi piacerebbe condividere con ciascun socio Phronesis, col solo augurio di riuscire a stimolare una riflessione puramente costruttiva: e se fosse la stessa idea della consulenza filosofica intesa come professione una delle cause del fallimento (o, volendo essere indulgenti e benevoli, della non affermazione sociale) di questa pratica, quali prospettive si porrebbero di fronte a noi consulenti filosofici o, ancora meglio, quali scenari si aprirebbero rispetto al futuro della nostra associazione professionale?


[1] Stefano Zampieri, filosofo consulente veneziano e già presidente di Phronesis.
[2] Ran Lahav, che si è formato presso l’Università del Michigan dove ha conseguito un perfezionamento in psicologia filosofica, da più di vent’anni è attivo nel campo delle pratiche filosofiche. Nel 1994 ha organizzato con Lou Marinoff il primo convegno internazionale sulla Consulenza filosofica a Vancouver e, sempre nello stesso anno, è stato fra i soci fondatori della Israel Organization for the Advancement of Philosophical Counseling. Nel 2014 ha avviato Agora, il sito web internazionale dedicato alle pratiche filosofiche (www.PhiloPractice.org)
[3] La Companionship filosofico-contemplativa è una pratica filosofica, ideata da Lahav, in cui un gruppo di persone medita su idee e testi filosofici, nel tentativo di sviluppare una profondità interiore.
[4] Oscar Brenifier è filosofo, formatore e consulente; ha promosso le pratiche filosofiche in Francia e all’estero, sia con i bambini che con gli adulti, tanto individualmente che all’interno delle realtà aziendali.
[5] Eckart Ruschmann è laureato in Filosofia e in Psicologia, si occupa di pratiche filosofiche sin dagli inizi degli anni ’90, è membro dell’Austria Society for Applied Conferences (GAP), un gruppo di filosofi che si occupano di pratiche filosofiche, ed è insegnante universitario oltre che Consulente Filosofico in Bregenz (Austria).
[6] Mike Roth è laureato in filosofia alla Sidney University; è membro di philopraxis.ch e anche della commissione organizzativa dell’ICCP 2016.
[7] Lydia Amir è professoressa di filosofia all’università di Tel Aviv, Israele.
[8] Anders Lindseth è professore di filosofia pratica all’università di Tromso, Norvegia.
[9] Willi Fillinger è filosofo pratico di Zurigo.
[10] Gerald Rochelle è filosofo pratico e autore inglese.
[11] Vander Lemes è facilitatore di Neo-Socratic Dialogues in Spagna, Germania, Gran Bretagna e Svizzera.
[12] Will Heutz è un filosofo pratico e uno psicologo che vive a Heerlen, in Olanda, dove ha un ritiro filosofico, immerso nella natura, e dove lavora con i signoli individui e con i gruppi.
[13] Joep De Jong ha lavorato per circa 40 anni come pediatra, medico orto molecolare e come filosofo pratico Taoista (è stato anche maestro di agopuntura).
[14] Riella Morhayim è laureata in filosofia in Turchia, vive e lavora in Israele in qualità di consulente filosofica, soprattutto individuale.
[15] Kristof Von Rossem è esperto in Dialoghi Socratici e formatore degli insegnanti di filosofia all’università di Leuven (Belgio) e insegnante universitario di Business Ethics a Brussels.
[16] Il 2/10/2016, a Mestre, si è tenuto il primo incontro del gruppo di ricerca, composto da vari consulenti filosofici della nostra associazione, di cui Chiara Zanella, già presidente di Phronesis,                     è tuttora coordinatrice.
[17] Neri Pollastri, fiorentino, è Consulente Filosofico dal 2000. Ha insegnato Teoria e prassi della consulenza filosofica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia ed è stato presidente di Phronesis di cui tuttora dirige l’omonima rivista.
[18] Gerd B. Achenbach è nato ad Hameln nel 1947. Dopo il dottorato in filosofia conseguito nel 1981, ha iniziato la sua attività di consulente filosofico. Nel 1982 ha fondato la Gesellschft fur Philosophische Praxis (Società internazionale per la consulenza filosofica) di cui è stato presidente fino al 2003.
[19] http://stefano-zampieri.blogspot.it, Una funzione sociale, non un mestiere (2/10/2016).

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